San Godenzo

 

LA RIEVOCAZIONE STORICA DEL CONVEGNO DEGLI ESULI GUELFI E GHIBELLINI AVVENUTO A SAN GODENZO NELL’ANNO 1302.

La rievocazione storica del  Dante Ghibellino  a San Godenzo nasce nel 1991 e rievoca il  Convegno dei fuoriusciti guelfi e ghibellini nell’Abbazia di San Godenzo nel giugno 1302. La lotta intestina a Firenze, fra guelfi neri da una parte e guelfi bianchi e ghibellini dall’altra, portarono alla cacciata di quest’ultima parte dalla città, con la condanna a morte in contumacia di Dante, emessa nel gennaio del 1302 dal podestà di Firenze, Cante Gabrielli da Gubbio. I Bianchi fuggono e con essi Dante, che trova asilo presso gli amici Conti Guidi in Casentino. Bianchi e ghibellini, pur tuttavia, meditano vendetta e tramano per ritornare in Firenze, da qui il Convegno nel coro dell’Abbazia di San Godenzo. Sostanzialmente il Convegno di San Godenzo avvenne per stipulare un accordo fra le nobili famiglie cacciate da Firenze, con tanto di rogito notarile redatto dal notaio Ser Giovanni Buto d·Ampinana (atto conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze), per garantire economicamente gli Ubaldini, signori del Mugello, qualora avessero subito un attacco di Firenze nel loro Castello di Monteaccianico.

 

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Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima da Monte Veso inver levante,
dalla sinistra costa d’Appennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
dell’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovrìa per mille esser recetto;
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ‘n poc’ora avrìa l’orecchia offesa

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, c. XVI, vv. 94-105)

Così Dante descrive il rimbombare dell’acqua che scroscia dalla Cascata dell’Acquacheta, un suono forte e fragoroso che richiama per rappresentare il rumore del fiume infernale Flegetonte. Un suono delle nostre montagne che è rimasto immortalato nelle carte, nei versi di un poeta che trasferisce nel mondo dell’Oltretomba tutta la sua esperienza dell’uomo del Due-Trecento.

Chi arriva in questa zona dell’Appennino si trova immerso proprio in questo, in un ambiente che si fa al tempo stesso cultura. E non solo perché cantato da poeti o perché patria di pittori o ancora perché luogo di passaggio di un altro celebre poeta vicino a noi come Dino Campana. L’ambiente vive soprattutto dei segni lasciati giorno dopo giorno dai suoi abitanti, allevatori, artigiani, raccoglitori di castagne, di legname, produttori di formaggio. Chi vive qui sa bene cosa la montagna può dare, conosce le asprezze degli inverni e i magri pascoli.

Forse per capire a fondo tutto questo bisognerebbe ascoltare i racconti dei molti anziani che popolano San Godenzo: sentiremmo parlare di scuole sparse qua e là per i monti, di giornate passate a badare le pecore, di poveri pasti a base di polenta e poco più, delle serate a veglia davanti al focolare. La cultura non è un dato immobile nel tempo, qualcosa di prestampato in ogni uomo. Vi rientrano credenze, pratiche sociali e religiose, costumi e abitudini in combinazioni innumerevoli. Oggi tutto questo patrimonio della nostra montagna non si pone tanto come una rocca da cui difendere una pretesa particolarità ma come un ponte verso gli altri, lo scambio e la relazione. Basti pensare ai continui flussi migratori che hanno attraversato, consideriamo anche solo il Novecento, questo territorio tra Toscana e Romagna. E anche oggi qui l’incontro è particolarmente vivo e importante.

La cultura di questo ambiente si manifesta poi nelle numerose iniziative che le comunità sparse nel territorio portano avanti tutto l’anno. Dalle feste dei marroni ai mercatini di Natale, dalle sagre estive alle attività teatrali. Non bisogna dimenticare il cibo, la tradizione gastronomica che caratterizza i nostri paesi: il pane cotto nel forno a legna, i tortelli di patate con la pasta fatta a mano, i dolci di castagne (come il celebre migliaccio).

Fonte: Comune di San Godenzo

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